Stiamo correndo. Corriamo. Siamo in due. Il terzo in realtà è già primo. Corre avanti a noi e ci protegge la strada. Controlla quel sentiero di montagna che corre nell’oasi WWF, abitata dai lupi e dai cinghiali. Corriamo in salita. In montagna. Il quarto e il quinto sono rimasti indietro. Camminano ma continuano. Respirano e vivono la nostra stessa strada. Siamo in cinque dunque.

Io parlo. E parlo. Non che abbia poi molto da dire, è che voglio dare coraggio. Voglio far intendere che ce la posso fare anche così. Sono di quelle salite che con la macchina devi mettere la seconda. In prima è troppo ma in terza non sale. È dura. Credetemi.

Lui invece dice poche parole e in un attimo racconta un sacco di cose. Tante da poterci fare un libro. Un libro, poi ho saputo, che aveva anche già scritto. In poche parole disse che ora tu sei con il tuo bimbo piccino che ti getta le braccia al collo e ti bacia e ti sorride e poi è un casino. Quattro o cinque ore dopo è un silenzio. E’ tutto un terribile casino. Angoscia, dottori, ospedali. Defibrillatori, firme su pezzi di carta e ti ridanno indietro quello che resta del tuo bambino e non hai più niente. Anzi hai qualcosa che è peggio di niente.

Io riesco a balbettare che quel poco che abbiamo non ci appartiene comunque.
Lo abbiamo solo in consegna. E, anche così, non consola.

Ora il cielo è diventato di un bell’azzurro. Un’ora fa era violetto. Di un bel violetto. Lo avete presente il cielo delle cinque del mattino? Dura un attimo. Poi cresce il sole. Se vi manca quel cielo avete un problema ragazzi. Ma non è più un problema mio.

Cominciamo a scendere. Sempre di corsa. Ci affiancano delle specie di caproni con le corna grosse e ricurve. Corrono veloci come noi. Sono mufloni. Spariscono nella foresta alla prima curva. Silenzio.

Giù c’è il campo. Il Dynamo Camp. C’è e non si vede. Si vedono i prati e la foresta. Siamo in Toscana. Nelle montagne della Toscana. Non si vedono né le casette né la mensa né il teatro del Camp, ma almeno si vedono i bimbi avvolti nelle lenzuola dormire beati. Si sentono i loro cuoricini correre veloci. Si vedono i loro sogni.

Si torna veloci. Si passa oltre la piscina e per un attimo siamo di nuovo in cinque. Ci hanno raggiunto anche gli altri due. Poi si rimane di nuovo in tre. Poi in due. Poi resto solo. Sono arrivato anche io. Sono a casa. In casetta. Io so che un giorno questo posto chiuderà.

Non servirà più. Non si ammalerà mai più nessun bambino al mondo.

Quando succederà questo, saranno giorni e giorni di feste.

Fino ad allora però, questo Camp vivrà. Sostenuto e cresciuto. Da una moneta, da un dono, da un sorriso, da qualche giorno del nostro tempo.

Sostenere e crescere un posto dove sbocciano i sorrisi, dove corrono liberi i sogni di bambini. Sostenere e crescere un posto così è un poco come aiutare a far sorridere il mondo intero.

(Alessandro, volontario Dynamo Camp, racconto di una corsa verso l’Oasi Dynamo effettuata all’alba del 29 aprile 2012, testimonianza inclusa nel libro “La forza che ho dentro” di Iacopo Ortolani)